“Inizio scrivendo che questa non è la mia tomba, ma è quella di mio figlio”. Sono le prime parole di un post Facebook che da ieri sta suscitando condivisioni e sdegno nella rete. Sotto la foto di una croce bianca con il suo nome scritto sopra in un prato assieme a molte altre croci analoghe, una giovane donna di Roma, Marta Loi, ha raccontato la sua assurda vicenda: mesi dopo aver affrontato un aborto terapeutico e pur avendo rinunciato, firmando un modulo come vuole la prassi, a provvedere alla sepoltura del feto, ha scoperto che un’associazione di volontariato aveva provveduto a seppellirlo, in un’area ad hoc del cimitero Flaminio, scrivendo in stampatello il nome della madre.
“Mi dissero al telefono: ‘stia tranquilla anche se lei non ha firmato per la sepoltura, il feto verrà comunque seppellito per beneficenza: avrà un suo posto con una sua croce e lo troverà con il suo nome’”, racconta la donna, ovvero il nome della madre, visto che quello del feto non era stato registrato.
“A questo punto mi sembrano ovvie le riflessioni su quanto sia tutto scandalosamente assurdo, su quanto la mia privacy sia stata violata, su quanto affermare che ‘ci pensa il comune per beneficenza’ abbia in qualche modo voluto comunicare ‘l’hai abbandonato e ci pensiamo noi’….” racconta ancora la donna che conclude: “Il campo in questione del cimitero Flaminio di Roma è pieno di croci con nomi e cognomi femminili”.
Questa del seppellimento dei “prodotti del concepimento” (fino alla 28esima settimana) o dei feti (oltre la 28esima) da parte di associazioni di volontariato è un’ operazione legale, almeno apparentemente, perché secondo il regolamento della polizia mortuaria i parenti hanno 24 ore di tempo per fare richiesta.
Anche se la pratica di scrivere il nome e il cognome della donna appare un’aperta violazione della legge sulla privacy.
Sono molti questi “cimiteri dei bambini mai nati”, come quello presente al Flamimio, autorizzati dai Comuni e gestiti da associazioni pro life con fondi di donatori. Jennifer Guerra, giornalista e autrice del libro “Il corpo elettrico” ha provato a censirli in una mappa, via via che, sulle cronache locali se ne parlava: “Ne ho trovati circa 50, ma sono sicuramente molti di più” racconta Guerra.
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