La morte di un bimbo di 11 anni che si è buttato dalla finestra di casa, porta a galla un mondo oscuro fatto di personaggi horror che si aggirano nella rete come Jonathan Galindo, che per puro gioco istigano all’autolesionismo e a prove che molte volte portano anche al suicidio, quelli che per la società sono considerati ancora bambini.
Il suicidio del bimbo di Napoli apre ancora una volta una finestra sul mondo oscuro e sconosciuto del web e su quello che può succedere ai nostri figli quando usando alcuni strumenti tecnologici, si vengono a trovare in un sistema che pensano di saper gestire ma che purtroppo in realtà molto spesso è veicolo di grandissima pericolosità.
I problemi nascono però da trappole tecnologiche che spesso irretiscono le giovani menti dei ragazzi non ancora preparate a contrastarle. È questo quindi il motivo che un bimbo di 11 anni, amato e seguito dai genitori, si ritrova a scavalcare il balcone e a buttarsi nel vuoto dal settimo piano per farla finita.
“Mamma, papà vi amo ma devo seguire l’ uomo col cappuccio che ho davanti…non ho più tempo…” questo è stato il terribile messaggio lasciato dal bimbo, che ha immediatamente fatto pensare ad una delle tante “prove” che girano in rete.
Ma chi è questo uomo con il cappuccio? E perché chiedere ad un bimbo di 11 di uccidersi? Queste vengono chiamate challenge, in italiano “sfide”, una serie di prove crescenti che vengono richieste ad adolescenti, fino ad arrivare all’ultima, che è quella di suicidarsi.
È probabile, anche se gli investigatori ancora non si sono pronunciati, che il suicidio del piccolo sia proprio una di queste “prove”, e purtroppo torna a riapparire un losco, “figuro” di nome Jonathan Galindo.
Presente ovunque, su Facebook, Instagram ma anche su Tik Tok uno dei social più amati e utilizzati dai giovani, Jonathan invia un “invito” tramite un link e propone di entrare in un gioco facendo leva sul senso di sfida presente negli adolescenti.
Vengono proposte prove di coraggio estreme che arrivano a sfociare nell’autolesionismo, tipo quelle di incidersi la pelle, cosa riproposta anche dal fenomeno della “Blue Whale”.
Queste sfide portano nel tempo i ragazzini, in modo particolare quelli più fragili e suggestionabili ad una forte crisi depressiva fino ad arrivare al suicidio. Auguriamoci che al più presto le autorità riescano a mettere fine a queste follie.
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