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Caso Eternit: il tempo passa, il bisogno di giustizia resta.

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La scoperta di quel prodotto chiamato “eternit”, fatto di cemento-amianto, avvenne per caso, ad opera di uno svizzero, Luwdig Scatchek, che in realtà stava cercando di creare un materiale per sostituire gli imballaggi di cartone. Nel 1901 scoprì per caso che miscelando 6 parti di cemento (materiale poco costoso) ed una di polvere d’amianto (materiale pregiato) si otteneva un prodotto solido, ignifugo, resistente a tutto: l’eternit, chiamato così perché quel nome sapeva di eterno. L’inventore vendette il suo brevetto a industriali europei , e non solo, si arricchì e fece arricchire molti altri, perché il prodotto fu largamente usato in tutti i settori, dalle case ai palazzi alle navi , dai sottotetti coibentati  ai pavimenti dei cortili.

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C’era eternit dappertutto, era chiamato “il cemento dei poveri”. Nelle favelas è ancora molto presente come copertura delle case. In Italia è vietata la produzione ormai dal 1992, dopo che divennero frequenti le morti per malattie amianto-correlati, mesotelioma e asbestosi. Vi furono diversi processi a carico degli amministratori degli stabilimenti, di Casale Monferrato, Cavagnolo e Bagnoli, e poi si giunse nel 2009 al processo contro i proprietari della società Eternit, processo che portò la questione “amianto” all’attenzione del mondo intero. I 2 proprietari, Stephan Schmidheiny e Louis de Cartier de Marchienne vengono condannati in primo grado a 16 anni,  ed in appello a 18 anni di reclusione, pur essendo caduto in prescrizione il primo reato di “omissione dolosa di cautele antinfortunistiche“, permanendo invece il reato di “disastro innominato doloso, aggravati dalla verificazione del disastro“.

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In  Cassazione, 14 novembre 2014,  le sentenze vengono annullate “perché il reato è estinto per prescrizione maturata anteriormente alla sentenza di primo grado». La legge è legge,  chi ha sofferto ed è morto per avere respirato la polvere di amianto  si dia pace. Eppure, lo stabilimento Eternit di Casale era arrivato ad impiegare  3500 addetti, e quello di Cavagnolo a 331. Cioè molte famiglie hanno avuto un relativo benessere dall’aver lavorato negli stabilimenti Eternit.   Lo stabilimento SACA di  Cavagnolo viene  realizzato nel 1946-47 per la  lavorazione del cemento-amianto e produzione del manufatto denominato eternit. A Cavagnolo fu considerato un dono del cielo.

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“.. Hanno  lasciato la terra e sono andati in fabbrica. Lì fanno un materiale nuovo, moderno, robusto come il cemento, ma più leggero e che non prende fuoco, praticamente indistruttibile. Si chiama “eternit”, e sa di antico, di importante, di eterno. Per lavorare meglio qualcuno impasta il materiale con le mani, amianto e cemento insieme, ma mica lo sanno che è veleno, nessuno gliel’ha detto. E così magari se ne stanno immersi fino alle ginocchia, a mescolare a braccia le fibre di amianto.  I primi che sono morti non si sono neppure accorti che quel cancro era nato dal fango. Che quel miscuglio non fermentava come i nostri canali, le nostre rogge secche in estate. Nessuna zanzara. Nessuna erbaccia. Non era salute, era la condanna. Il destino segnato. Faticavi, aumentavi il ritmo del respiro, crescevano le boccate, e l’aria piena  di microfibre d’amianto andava sempre più giù. La fibra dell’amianto era il sottile filo delle Parche, che segnava il confine tra la vita  e la morte.  La polvere grigia entrava dappertutto, dalle porte e dalle finestre delle case, dalle tute che venivano lavate a mano, con le persone che si lavavano senza badare al sottile. La povere velocemente entrava nei polmoni. La vita lentamente usciva, con grande sofferenza….” (da “La nuvola di polvere”) Lo stabilimento di Cavagnolo viene chiuso nel 1982, quello di Casale nel 1986. Il limone era stato spremuto fino in fondo.  Inizia la stagione dei processi.

Caso Eternit: il tempo passa, il bisogno di giustizia resta.

L’8 giugno 2023, a conclusione del processo di assise Eternit bis,svolto a Novara, l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny è stato condannato a 12 anni di reclusione per omicidio colposo aggravato, il che ha mandato in prescrizione parecchi dei casi presentati dall’accusa.    Il magnate è stato condannato anche alla pena accessoria di 5 anni di interdizione ai pubblici uffici. Il risarcimento totale fissato dalla Corte e’ pari a oltre 86 milioni. Cinquanta milioni andranno al Comune di Casale Monferrato, che si era costituito parte civile. All’associazione delle vittime andrà un risarcimento di 500.000 euro. La sentenza Eternit bis arriva a due anni dalla prima udienza del 9 giugno 2021. In aula erano presenti decine di parenti delle vittime, arrivati in pullman da Casale Monferrato. Una condanna, ma non quella che si aspettavano i parenti delle vittime.

Caso Eternit: il tempo passa, il bisogno di giustizia resta

Schmidheiny era accusato di omicidio volontario con dolo eventuale, per la morte di 392 persone decedute per amianto a Casale Monferrato e dintorni. L’imprenditore aveva gestito lo stabilimento Eternit di Casale dal 1976 al 1986. La Procura aveva chiesto l’ergastolo. La difesa puntava invece all’assoluzione, sostenendo che mancavano prove certe del nesso di causalità. Ma  questa è la sentenza di primo grado. Resisterà fino alla Cassazione? Gli avvocati della difesa hanno già preannunciato appello. Passeranno altri anni. Passeranno altre vittime della lavorazione dell’amianto. Non passerà il bisogno di giustizia, che dovrebbe animare i cuori di tutti, specialmente di chi per sua fortuna non ha patito quella tragedia.

Di Giuseppe Valesio

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